Nazione Guerriera il militarismo nella cultura USA by Gordon Poole

Nazione Guerriera il militarismo nella cultura USA by Gordon Poole

autore:Gordon Poole [Poole, Gordon]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
editore: Microsoft
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Secondo un portavoce del Ministero della Guerra, la “smobilitazione procede con velocità allarmante”. Allarmante dal punto di vista di chi? Allarmante per i generali e i colonnelli che vogliono continuare a giocare alla guerra e non vogliono ritornare a fare i capitani e i maggiori? Allarmante per gli uomini d’affari che vogliono farsi bei soldi a spese dell’esercito? Allarmante per il Dipartimento di Stato, che vuole un esercito per sostenere il suo imperialismo nell’Estremo Oriente?

Molte sezioni sindacali si mossero a fianco dei militari in rivolta, cogliendo anche il messaggio politico contenuto nelle loro proteste. Tipica fu la risoluzione del CIO di Akron, Ohio, che diceva fra l’altro di essere in “pieno accordo coi soldati che manifestano per non essere utilizzati per proteggere le ricchezze e le proprietà straniere di corporazioni anti-operaie come la Standard Oil e la General Motors”.

Ci furono proteste simili in altre basi e accampamenti in varie parti del mondo. Il 7 gennaio, in Francia, a Campo Boston, circa 2.000 militari manifestarono a favore di un sollecito rimpatrio. L’8 gennaio 6.000 militari a Saipan, nel Pacifico, telegrafarono le loro proteste contro il rallentamento della smobilitazione. Sull’isola di Guam 3.500 arruolati iniziarono uno sciopero della fame. Il 9 gennaio 18.000 partecipano ai due comizi nel Pacifico.

La protesta dilaga, coinvolgendo Yokohama in Giappone, Reims (Francia), Parigi, Londra, Maryland, basi in Germania, Calcutta, Honolulu, Seul (Corea), Batangas (Filippine). Il 16 gennaio la nave “U.S. Cecil” parte da Manila per gli Stati Uniti con i due terzi dei posti liberi, con il risultato di suscitare una protesta pubblica organizzata dal “Manila Soldiers Committee”.

Messaggi di forte protesta furono inviati al Presidente e al Congresso, al ritmo di poco meno di 100.000 al giorno, provenienti, oltre che dai militari, da mogli, madri, fidanzate. Intere pagine di pubblicità furono comprate in quindici quotidiani. Petizioni furono inviate ai giornalisti radiofonici più popolari, chiedendo loro di prendere posizione e di far conoscere le richieste della massa dei militari. Eleanor Roosevelt, moglie del defunto Presidente, promise a 500 manifestanti a Londra che avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per aiutarli. A Francoforte (Germania) 4.000 cercarono di occupare il quartiere generale dell’esercito ma furono fermati da altre truppe, con le baionette innestate, e venti soldati furono arrestatati.

La sostanza politica della questione era che i militari non erano disposti a continuare a presidiare paesi stranieri amici in veste di esercito di occupazione. Nelle parole di un soldato: come mai ci volevano 230.000 uomini per occupare le Filippine, un paese amico, quando il generale MacArthur aveva annunciato pubblicamente che erano sufficienti 200.000 per controllare il Giappone, paese nemico? La dichiarazione di MacArthur era in effetti causa di imbarazzo per il governo. La risposta alla domanda, non ingenua, del soldato si poteva avere soltanto facendo luce sui veri intenti politici statunitensi sul dopoguerra.

Una parte del ritardo nell’organizzare il rimpatrio dei militari era dovuto senz’altro alla mancanza di navi e a difficoltà organizzative, ma molti soldati sospettavano che si trattasse di un sotterfugio per favorire l’approvazione di una legge per il prolungamento della leva.



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